RICERCHE
Storia di strade, storia del territorio (2): la via Popilia
di Ettore Aulisio
La via Popilia
Nell’anno 132 a.C. il console romano Publio Popilio Lenate fece costruire una strada consolare che, iniziando ad ‘Arimunum’ (Rimini) e passando per Ravenna, terminava a ‘Radriani’ (o ‘Hadriani’, l’attuale San Basilio frazione di Ariano Polesine, nei pressi di Adria); in onore del suo costruttore fu denominata ‘via Popilia’.
Il percorso stradale si snodava tra paludi, boschi e pinete, attraversava i molti corsi d’acqua per mezzo di traghetti e di alcuni ponti in legno o in muratura. La via, come altre strade consolari, era in gran parte costruita con il manto superficiale di ghiaia (‘via glarea stratae’) che ricopriva la cosiddetta ‘sottopreparazione’ ottenuta mediante la stesura di uno spesso impasto di malta con frammenti laterizi e ceramici minutamente sbriciolati. Solo in prossimità dei centri urbani più importanti lo strato superficiale era ricoperto da ‘basoli’ di trachite o da mattoni di recupero, come è emerso negli scavi archeologici effettuati nei pressi di Ravenna. In genere la strada per evitare allagamenti era sopraelevata sul piano di campagna, aveva argini laterali di protezione e attraversava solo i centri maggiori, passando più discosta quelli meno importanti ai quali però era collegata da un sistema viario minore.
Nell’anno successivo, nel 131 a.C., il console Tito Annio Rufo fece costruire la via detta ‘Annia’ che aveva origine nei pressi di ‘Radriani’, proprio dove terminava il tracciato della ‘Popilia’ originaria: la nuova strada per raggiungere ‘Patavium’ (Padova) seguiva un tracciato discosto dalla costa e attraversava centri dell’entroterra. Da ‘Patavium’ proseguiva per ‘Altinum’, costeggiando prima il fiume ‘Medoacus’ (Brenta) e poi la Laguna Veneta.
In epoca Claudia fu costruita una diramazione della ‘Popilia’: essa aveva inizio a ‘Radriani’ e, dopo aver attraversato il Delta Padano e costeggiato il margine inferiore della Laguna Veneta, si congiungeva poco prima di Mestre con la via ‘Annia’ che proveniva da Padova. La diramazione lagunare della ‘Popilia’ era in grado di mantenere un ‘recto itinere’: infatti per raggiungere la ’mansio Fossis’ percorreva la base dei cordoni di gigantesche dune che avevano un andamento lineare con direzione sud-nord (vedi Fig. 1). Utilizzando questa diramazione si riducevano i tempi di viaggio per ‘Altinum’ e si potevano collegare tra loro i numerosi centri che in epoca imperiale s’erano sviluppati lungo il margine lagunare e nell’immediato entroterra.
Le due strade consolari, una volta congiunte, proseguivano in un unico tracciato verso ‘Altinum’ e ‘Aquileja’; questo tratto dell’arteria stradale è comunemente conosciuto come ‘via Annia’, anche se in varie epoche e da alcuni autori è stato indicato (e più giustamente secondo noi) anche come ‘via Annia-Popilia’ o ‘via Popilia-Annia’.
Il percorso della via Popilia
La natura del terreno compreso tra Rimini (‘Ariminum’), Ravenna e Ariano nel Polesine (‘Radriani’ o ‘Hatriani’) nei secoli è stata profondamente modificata a causa delle frequenti inondazioni fluviali, delle trasgressioni marine e dei fenomeni di subsidenza; anche gli interventi umani e le tante vicende storiche, di cui questa zona è stata teatro, hanno contribuito a mutarne l’aspetto.
Il territorio posto a settentrione di ‘Radriani’, dove aveva inizio la diramazione costiera della ‘via Popilia’, non solo è stato soggetto alle devastazioni dei popoli barbari, ma pure a calamitosi eventi naturali. Forse il più grave avvenne nell’anno 589 d,C. quando le spaventose alluvioni mutarono il corso dell’Adige, provocarono la definitiva distruzione delle vecchie strade romane e cancellarono i terreni bonificati riducendoli a paludi. I centri urbani esistenti in epoca romana furono sommersi dalle sabbie e di essi spesso se ne è perduta la memoria. Anche le variazioni della linea di costa e i successivi interventi umani contribuirono a mutare la configurazione del Delta padano: quali testimoni del tracciato che la via Popilia seguiva in direzione della Laguna Veneta si conservano i cordoni di dune denominati ‘Montoni o sia strada romana’ (vedi figura 2) , alcuni resti archeologici difficilmente identificabili e toponimi di controversa origine.
Per tutti questi motivi sono state avanzate varie ipotesi per individuare con esattezza il tracciato della ‘Popilia’ e la collocazione delle varie ‘Stationes’ che ne scandivano il percorso secondo la “Tabula Peutingeriana” (vedi figura n° 3). Una parte delle ipotesi sono state analizzate e messe a confronto da Luigi Quilici nei libri “Atlante tematico di topografia antica” e in “Città e monumenti nell’Italia antica”, scritto quest’ultimo in collaborazione con Stefania Quilici Gigli.
I ritrovamenti archeologici, in genere piuttosto modesti, forniscono notizie incerte; in due casi però, a conferma delle precedenti ipotesi d’ordine geografico e toponomastico, sono stati localizzati due luoghi sicuramente attraversati dalla ‘via Popilia’. Il primo rinvenimento è avvenuto verso la metà dell’ottocento nei pressi di ‘Radriani’ (a San Basilio) dove fu riportato alla luce un Cippo Miliare con incisi il nome del costruttore della strada (il console ‘Publio Popilio Lenate’) e il numero LXXXI, col quale si indicava l’effettiva distanza esistente tra quella località e Rimini: 81 miglia romane, misura riportata nella ‘Tabula Peutingeriana’.
L’altro rinvenimento avvenne in tempi più recenti alle porte di Ravenna (a Fossa Ghiaia, a sud dell’edificio di Sant’Apollinare in Classe) quando, nel corso di alcuni lavori di scavo, vennero alla luce dei brevi tratti della ‘via Popilia’. Il manto della antica strada presenta ancora oggi una copertura o in ghiaia segnata dai solchi lasciati dalle ruote dei carri o un manto stradale ricoperto da mattoni mal cotti. I due ritrovamenti ci forniscono quindi anche notizie relative ai sistemi costruttivi adottati per la costruzione della strada.
Un terzo rinvenimento archeologico di una certa importanza è quello di Corte di Cavanella d’Adige e riguarda il percorso della diramazione lagunare della via Popilia.
La ‘Tabula Peutingeriana’ indica in modo molto schematico il tracciato della via Popilia e della sua diramazione lagunare: lungo il percorso sorgevano diverse ‘stationes’: le più importanti, dette ‘mansiones’, fungevano da stazioni di posta e permettevano ai viaggiatori di sostare e riposare. In quelle minori, dette ‘mutationes’, avveniva il semplice cambio dei cavalli. L’individuazione della loro precisa collocazione è però ancora molto incerta e soggetta a varie ipotesi, a volte fra loro contraddittorie.
I viaggiatori diretti verso nord, lasciata Ravenna e diretti a ‘Radriani’, incontravano tra le altre le seguenti stazioni: ‘Butrio’, ‘Augusta’, ‘Sacis ad padum’ (in prossimità del ramo del Po ricordato da Plinio col toponimo di ‘Sagis’, nei pressi di Spina), ‘Neronia’ e ‘Corniculani’ (situate dei pressi di Codigoro e di Mezzogoro) e infine ‘Radriani’, detta pure Hadriani. Questa ultima stazione sorgeva – come già indicato precedentemente – sorgeva nella località attualmente denominata San Basilio, in comune di Ariano, poco distante da Adria: in questa località in epoca romana sorgeva il nucleo abitato più importante della zona perché nodo stradale e incrocio di vari canali navigabili.
Il percorso della diramazione lagunare della via Popilia
Il territorio posto a settentrione di ‘Radriani’ e attraversato dalla diramazione della ‘via Popilia’ non solo è stato soggetto alle devastazioni dei popoli barbari, ma pure a calamitosi eventi naturali. Forse il più grave avvenne nell’anno 589 d,C. quando le spaventose alluvioni mutarono il corso dell’Adige, provocarono la definitiva distruzione delle vecchie strade romane e cancellarono i terreni bonificati riducendoli a paludi. I centri urbani esistenti in epoca romana furono sommersi dalle sabbie e di essi spesso se ne è perduta la memoria. Anche le variazioni della linea di costa e i successivi interventi umani contribuirono a mutare la configurazione del Delta padano: quali testimoni del tracciato che la via Popilia seguiva in direzione della Laguna Veneta si sono conservati i cordoni di dune denominati “Montoni o sia strada romana’ (vedi figura 2), alcuni resti archeologici difficilmente identificabili e toponimi di controversa origine.
Dopo ‘Radriani’, secondo il percorso indicato dalla ‘Tabula Peutingeriana’, s’incontrano ancora nella zona del Delta Padano le ‘stationes’ di ‘VII Mària’ (con tale toponimo è citata da Plinio il Vecchio per la presenza di sette laghetti palustri, forse situata nella località ora detta Ponte Fornaci) e quella di ‘Fossis’, localizzata nell’attuale Corte di Cavanella d’Adige. Qui doveva esserci un importante punto di confluenza della rete stradale e di una serie di canali naturali e artificiali con un intenso traffico terrestre, fluviale e marino; lo confermerebbero i recenti scavi archeologici che hanno riportato alla luce i resti di un edificio abbastanza grande, forse un luogo dove i viaggiatori potevano dormire, una stalla per buoi e cavalli, un locale adibito a cucina e mensa, e un riparo delle barche.
Superata ‘Fossis’ nella ‘Tabula’ sono indicate le ‘stationes’ di ‘Evrone’, di ‘Mino Meduaco’, di ‘Maio Meduaco’ di‘Ad Portum’ e di ‘Altinum’, la loro esatta localizzazione è tuttora incerta.
La maggioranza degli studiosi ritiene che il vero tracciato della diramazione lagunare della Popilia fosse in terraferma, coincidente con la Romea, indicato nella Fig. 6 con una linea gialla, e che le quattro ‘stationes’ dovrebbero essere localizzate a Vallonga di Codevigo, a Lova, a San Bruson e a Porto Menai.
Un’altra ipotesi ritiene invece che la strada percorreva una zona in cui attualmente si alternano spazi paludosi e barenosi, come è indicato nella Fig.4 con la linea color bianco; l’ipotesi è desunta vari rinvenimenti archeologici avvenuti in area lagunare e soprattutto da un’analisi dei toponimi della zona.
Luciano Todesco in un saggio pubblicato in ‘Lagunarie’ afferma che esistono «…….. le necessarie indicazioni per stabilire che l’importante arteria si stendeva dove oggi è laguna». Secondo lo studioso la strada doveva percorrere dei territori ora occupati da due paludi lagunari i cui toponimi fanno pensare che nel passato quelle estensioni di terreno non fossero coperte dalle acque: la palude di ‘Fondello’ (fondo = campo) e la palude di ‘Millecampi’
Nelle pagine che seguono, riportando alcuni studi del Todesco, si cercherà di indicare in quale modo egli sia giunto a formulare tale ipotesi.
Le tappe lagunari della Via Popilia.
Tutti gli studiosi sono concordi nel sostenere che le quattro ‘stationes’, situate lungo il percorso della diramazione lagunare della ‘Popilia’, dovevano sorgere in punti di interscambio commerciale in cui si incrociavano vie di comunicazione terrestri e lagunari, come a ‘Fossis’; l’esistenza in un breve tratto di percorso di ben quattro ‘stationes’ conferma l’importante funzione che la strada aveva nel mettere in comunicazione tra loro i vari centri urbani e gli scali fluviali e lagunari con le principali città che allora sorgevano nell’Alto Adriatico.
Secondo Todesco la stazione di ‘Evrone’ deve essere individuata in una località che una volta era posta sulla terraferma, mentre ora è un residuo barenoso situato nella ‘Palude Fondello’. La località attualmente è denominata ‘Ca’ Manzo’ e nelle antiche cartografie era indicata come ‘Comanso’ o ‘Comanzo’: il nome corrotto di questa barena dovrebbe derivare dal termine ‘mansio’ preceduto da ‘caput’ (in modo analogo è avvenuto a Codevigo = ‘Capiti Vici’). Tale ipotesi sarebbe confermata dall’esame di altri toponimi sempre presenti nella stessa palude e poco distanti da ‘Ca’ Manzo’: ad esempio il toponimo di ‘motta Manere’ deriverebbe dall’infinito del verbo latino ‘maneo’, cioè rimanere), mentre ‘motta ‘Aseo’ deriverebbe da Asylum’ = rifugio). Definitiva conferma della localizzazione della ‘mansio Evrone’ potrebbe essere infine data anche dalla presenza sempre nella palude del toponimo ‘Cavrone’.
La seconda stazione, distante dalla precedente sei miglia (9 Km), era la ‘Mansio Mino Medoaco’; essa potrebbe essere localizzata nel luogo dove una volta sfociava in laguna il ramo minore del ‘Medoacus’ (antico nome del Brenta), prima che fosse deviato a Montalbano (‘Mons Albula’): in base all’indagine toponomastica il luogo andrebbe individuato nella zona di ‘Cornio’ poiché ‘cornu flumine’ significa braccio di fiume e, secondo il Todesco, «il nome dovrebbe essere rimasto al ramo ‘Minor’ dopo il proseguimento della corsa verso meridione. Con precisione la percorrenza ha fine in località ‘Prime Poste’, quasi a comprovare l’esistenza di una romana ‘postatio’ ».
Sempre secondo l’ipotesi avanzata dal Todesco la via Popilia, oltrepassata la ‘Mansio Mino’, si allontanava un poco dal margine lagunare per evitare l’attraversamento il complesso estuario che allora caratterizzava la foce del ramo maggiore del Brenta (‘Medoacus Major’), il cui vecchio corso può essere individuato prendendo in considerazione i seguenti toponimi: ‘Preamore’ (villaggio che precedeva il fiume per chi proveniva da sud), ‘Canal Mazor o Maggiore (indicante i resti dell’antica foce), ‘Le Giare’ (depositi alluvionali posti lungo il vecchio corso del fiume), ‘Lago Mazor’ (specchio d’acqua ora scomparso). In base alle indicazioni toponomastiche la terza stazione doveva trovarsi nei pressi dell’attuale località di ‘Curano’ «o meglio sull’attuale penisola de Le Giare dove due spazi acquei si denominano ‘Stradoni’».
Molto più problematica è la localizzazione della stazione ‘Mansio ad Portum’ che nella ‘Tabula Peutingeriana’ è indicata lungo la via Annia tra la ‘mansio ad duodecimun’ e la ‘mansio ad nonum’. A parere della Fogolari è «da identificarsi con porto Menai, che doveva essere un antico scalo fluviale di Padova sul Brenta». Di parere diverso è Luciano Todesco che la indica invece come una delle quattro stazioni che sorgevano lungo la via Popilia prima del suo congiungimento con la via Annia e ritiene che il toponimo ‘ad Portum’ indicasse la direzione verso un porto importante; tale appunto doveva essere il porto posto sul margine lagunare che conduceva a ‘Mathamaucus’. La ‘mansio ad Portum’ dovrebbe pertanto essere localizzata probabilmente nella terza zona industriale, a sud di Porto San Leonardo, che si poteva raggiungere con il tratto della Popilia che dopo la precedente ‘mansio’, si staccava dalla strada diretta ad Altino (gli ‘stradoni’ ai lati della penisola delle Giare, ora sommersi).
La via Popilia si innestava poi nella via Annia e raggiungeva ‘la mansio ad Nonum’ che il Todesco afferma doversi localizzare nella zona di Altobello (un sobborgo di Mestre), ritenendo che tale denominazione derivi dall’unione dei toponimi Anniero (da ‘Annia’) e Tombello, indicati in planimetrie ottocentesche (ad esempio in quelle del 1833 e del 1876): il borgo (l’antica Mestre) era poco discosto dall’incontro stradale della via Popilia con l’Annia a cui la l’unica strada era diretta (‘ad’ indica la direzione). La via Annia-Popilia successivamente attraversava il ‘Ponte di Pietra’ e ‘Terzo’ (località del mestrino che ancora oggi hanno tale toponimo) raggiungendo ‘Altininum’ con un percorso posto sull’orlo lagunare (la medievale via Orlanda da questo fatto deriverebbe il suo nome e non, come tanti ritengono, da ‘via d’Orlando’).
Bibliografia:
AA.VV. – La via Annia: memoria e presente – 1984
L. Bosio – I problemi portuali della frangia lagunare nell’antichità – (su ‘Venetia’, 1967)
M. Doria – Toponomastica preromana nell’Alto Adriatico – 1972
J. Filiasi – Memorie dei Veneti primi e secondi – 1796
A. Gusso – Mestre e le sue strade – 1992
J. Marcello – La via Annia alle porte di Altino -1956
L. Quilici – Atlante tematico di topografia antica – 1979
L. Quilici e S. Quilici Gigli -Città e monumenti nell’Italia antica – 1999
L. Todesco – Ipotesi lagunari da indagini Toponomastiche – (su ‘Lagunarie’, 1984)
B. Zendrini – Memorie storiche sulla stato antico delle Laguna – 1811
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«State accorti, non mettetevi a strafare
con tutti questi pali metallici, queste reti, queste viti così fitte ormai
altrimenti col primo gran temporale
di questi tempi
che per fortuna non vedrò mai
in fondo vien giù tutto a rotoloni!
Sul mio podere non posso lamentarmi
ma a tutti vi grido “State accorti”.
Ma forse io qui parlo, da morto, a morti».