Viaggio nel Montefeltro
di Ettore Aulisio
Suggerimento per un viaggio da Rimini a San Leo sulle tracce di briganti e cornuti, di fantasmi e maghi, tra rocche e pievi, seguendo la via degli antichi sapori.
Lo strano turista giunto con la Panda in Romagna, nei pressi della città di Rimini sdraiata tra le sue innumerevoli discoteche da sballo, guarda fuori del finestrino ed il suo pensiero automaticamente va al poeta Giovanni Pascoli che, oltre cento anni fa, scriveva:
«Romagna solatìa, dolce paese……: / il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra visïon di San Marino: / sempre mi torna al cuore il paese/ cui regnarono Guidi e Malatesta,/ cui tenne il Passator cortese, / re della strada, re della foresta».
Oramai quasi più nessuno si ricorda del Passatore, il barbuto brigante che, prima di essere cristianamente impiccato dal delegato pontificio, ne fece di tutti i colori, rubando e uccidendo qua e là, ma, soprattutto, seducendo in ogni dove non solo le belle e procaci contadinelle, ma anche le super-be e all’apparenza altezzose nobildonne delle città. Il turista pensa che attualmente in Italia altre persone si dedicano con tanto successo all’arte della seduzione, anche di minorenni, e non vengono impiccate. Come cambiano i tempi!!!
IL PARADISO (FISCALE) DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO
Questi pensieri in verità rattristano un po’ il turista italiano che preferisce andare con lo sguardo e i pensieri a ciò che si intravede al di là dell’autostrada. A dire il vero, però, il paesaggio è non è più quello descritto dal poeta: grovigli di strade e di edifici, di altri edifici ed ancora di edifici hanno invaso e ancora invadono la campagna che dal mare si stende verso le colline. Appare a tratti però la “vision di San Marino”, non tanto dolce per il turista che, quando la visitò, rimase deluso per la profusione di falsi architettonici e per tutte le chincaglierie di pessimo gusto che si vendevano per le strade. Eppure ancor oggi per qualcuno la visione di San Marino è dolce, anzi paradisiaca, lo è per tutti coloro che vogliono dare un sicuro ed esentasse rifugio ai loro capitali finanziari; l’antipatia del turista per questa piccola Repubblica non sarà forse dettata dall’invidia e dal fatto che non ha capitali da esportare? Soffre forse il turista della sindrome della volpe e l’uva?
A RIMINI CON LA MOGLIE DEL DIAVOLO
Lasciamo perdere queste considerazioni troppo personali e ritorniamo al viaggio che il nostro turista ha deciso di compiere alla ricerca di cose belle, interessanti, soprattutto un po’ strane e, perché no, anche saporite; giunto al casello di Rimini Nord esce dall’autostrada e segue prima la via Emilia verso Rimini; qui, di poco oltrepassato il cippo del Km 4 in località di San Martino in Riparotta, sulla sinistra cisono nell’area di un distributore di benzina i resti di un Mausoleo Romano.
Il rudere, che è detto comunemente “della moglie del diavolo”, è formato da un conglomerato di pietre e pozzolana. Data un’occhiata in giro per vedere se c’è qualche diavolo nei paraggi, il turista – anche per giustificare la sosta – fa rifornimento di benzina, e pensa che forse di diabolico qui c’è solo il prezzo del carburante.
Poi ritorna indietro e si dirige verso Sant’Arcangelo di Romagna che raggiunge dopo pochi km.; se fosse stato un architetto avrebbe forse proseguito per Rimini dove sorge il Tempio Malatestiano, opera del maggior teorico rinascimentale dell’architettura italiana.
SANTARCANGELO DI ROMAGNA: DOVE GAREGGIANO I CORNUTI
Sant’Arcangelo è una cittadina agricolo-commerciale costituita da una parte moderna, pianeggiante, e da una parte d’epoca medievale posta su una piccola altura, il colle di Giove. La parte medievale del paese, dominata dalla Rocca Malatestiana. Si presenta ben conservata nel suo antico impianto urbanistico con stradette tortuose e squarci ambientali piuttosto suggestivi.
Il piccolo colle, come documentano gli scavi archeologici, fu abitato dai tempi preistorici sino a tutta l’età romana. Poi arrivarono i Barbari che distrussero tutto o quasi, probabilmente però il nucleo del paese fu ricostituito dai Longobardi che, così pensa il turista, vi fondarono una Pieve intitolandola come era loro abitudine a San Michele Arcangelo.
Verso la fine del medioevo il borgo divenne possesso della famiglia dei Malatesta di Rimini. Per il turista però la cosa più interessante non sono né la storia della cittadina, né le superstiti testimonianze architettoniche, bensì sapere cosa accade ogni anno l’undici novembre, il giorno in cui si festeggia San Martino. Qui forse è opportuno fare una divagazione cronologica e riferire di quando il turista, ancor giovane e con pochi mezzi finanziari (e di trasporto) da Venezia si recava all’Università di Urbino con il treno; in un’occasione – era il giorno di San Martino – in una stazioncina dopo Bologna salirono diversi uomini che scherzando e vociando dicevano che andavano a Sant’Arcangelo di Romagna per “la corsa dei cornuti”. Il nostro giovane studente, non ancora turista, non capì se quei signori andavano a Sant’Arcangelo a vedere quei poverini che, per loro disattenzione o per lo spirito di iniziativa delle proprie mogli, metaforicamente avevano il capo incorniciato da un bel paio di corna, proprio come i cervi, oppure se a tale corsa intendevano partecipare essi stessi come protagonisti. In entrambi casi la questione era piuttosto curiosa e lo studente, con gli anni divenuto turista, decise che bisognava prima o poi avere un chiarimento andando sul posto (anche perché seppe che corse dei cornuti si svolgono o si svolgevano in diversi paesi italiani in occasione della Festa di San Martino). A chi chiedere chiarimenti in merito, all’ufficio del turismo, allo IAT? ai vigili o al sindaco? Oppure al parroco? Forse lui, per dovere d’ufficio, è il più informato di tutti, ma non puòparlare. Ma è il caso, è opportuno chiedere a qualcuno se ha mai partecipato alla corsa dei cornuti? E se questi si offende? Nel dubbio il turista procede oltre e decide di non fare per il momento domande in merito.
SUORE E RITI PAGANI
Il turista, già che c’è, a Sant’Arcangelo vorrebbe sapere altre cose e vedere le “grotte delle monache” anche per soddisfare un’altra sua curiosità: che cosa ci facevano là dentro quelle pie donne? Pregavano o rievocavano riti pagani? E’ senz’altro certo che Sant’Arcangelo nasconde una sua storia sotterranea e misteriosa: qui le cavità, i pozzi, i cunicoli e le gallerie costituiscono un’altra città sotto quella visibile, a molti ancora sconosciuta. Le guide turistiche dichiarano che: «è impossibile descrivere le emozioni e le sensazioni che si provano inoltrandosi nei meandri più reconditi di questo mondo, isolato nella sua quiete millenaria, ma indissolubilmente collegato con la realtà soprastante. Assolutamente imperdibile è la visita guidata all’interno della grotta monumentale, un viaggio indietro nel tempo, in una sorta di labirinto, alla scoperta di antiche leggende ed eccitanti racconti. Gli ipogei di Santarcangelo sono disposti su tre piani e vengono distinti in “grotte a struttura semplice“ ed altre a “struttura complessa”. Se per i primi piani si è ipotizzato un uso pratico (depositi, cantine per la conservazione del nostro Sangiovese, grazie ad una temperatura costante di 12/13 gradi), per i secondi non si esclude, invece, una finalità cultuale. Gli studiosi, a tale proposito, avanzano numerose ipotesi: tombe etrusche, grotte paleocristiane, sacelli per il culto orientale del Dio Mitra, basilichette di monaci Basiliani ecc… Tuttora è un vero mistero! Sappiamo invece con certezza che, indipendentemente dalla loro origine, sono stati ottimi rifugi per gli abitanti della città durante la seconda guerra mondiale, occasione in cui furono messi tutti in comunicazione».
Al termine della visita il turista continua ad avere le idee un po’ confuse, però considera stimolante visitare luoghi che conservano una certa atmosfera di mistero …Un’idea gli viene in mente: forse in quelle grotte il brigante Passatore incontrava le mogli dei cornuti? La storia a volte è troppo arida e un po’ di immaginazione per rivivere il passato non fa male. Almeno i medici non lo sconsigliano.
SANT’ARCANGELO, ARRIVEDERCI…
Il nostro turista non ha molto tempo a disposizione e quindi, con rammarico, tralascia di vedere le altre cose interessanti di questo paese dall’aria sonnolenta, ad esempio il Museo degli usi e costumi della gente di Romagna dove è raccolta una ricca documentazione su storia, economia, lingua e tradizioni contadine e artigianali della zona; forse avrebbe trovato lì una risposta alle sue curiosità. Oppure avrebbe potuto visitare la bottega del mangano, la Stamperia Marchi, dove vi sono tutti gli antichi attrezzi per stampare le tele di canapa e lino, soprattutto tovaglie, con i disegni tradizionali. Pazienza, si accontenterà, una volta ritornato a casa, di guardare le tele che ha comprate nella non lontana Gambettola.
Si ripromette però di ritornare per cercare di soddisfare le sue curiosità, ma prima di partire si ferma per fare uno spuntino: un po’ di piadina con formaggio pecorino ‘di fossa’ e un buon bicchiere di albana passito.
Alcuni avventori gli dicono di ritornare a novembre per la festa di San Martino, non tanto per la questione della corsa dei cornuti, ma per assaporare nell’osterie altri vini, il pagadebit (ottimo col risotto), il cagnina (da bere mangiando castagne arrosto o con le torte), oppure il famosissimo sangiovese di Romagna (ottimo con carni e salumi e pasta all’uovo).
Risalito in auto, questa volta il turista lascia la strada statale Emilia e si avvia verso l’interno percorrendo la strada provinciale n° 14, detta Santarcangiolese. Si incomincia lievemente a salire sulle colline un po’ spiattellate da cui, ogni tanto si ergono altere delle rupi dominate da rocche e castelli. E sullo sfondo appare la dolce vision di San Marino….
NELLE TERRE DEI GUIDI E DEI MALATESTA: IL BALCONE DELLA ROMAGNA
L’itinerario automobilistico del turista prosegue per la strada di Torriana e si passa poco distante dalla Pieve di San Michele Arcangelo: si tratta di un edificio molto antico (VI secolo) ed interessante, di origine bizantina. Forse varrebbe la pena di vederlo, e il turista, pur in cerca di cose strane e curiose, cede al desiderio che ha di vedere le chiese antiche, soprattutto quelle paleocristiane, bizantine e romaniche. Questo è il suo debole, forse glielo possiamo perdonare?
Proseguendo il viaggio appaiono le pittoresche rupi di Torriana che si raggiunge percorrendo tre chilometri in salita. Il paese fino al 1938 era denominato “Scorticata” a causa dell’asperità dello spuntone di roccia, una volta quasi privo di vegetazione, sul quale fu costruita la rocca. Il romagnolo Benito Mussolini, che proprio in quell’anno aveva emanato le leggi per purificare l’italica razza, non poteva tollerare che un paese tanto pittoresco fosse indicato con un toponimo così brutto; e allora, vedendo che nella zona c’erano torri e rocche lo ribattezzò con il toponimo di “Torriana”. Il colle però rimase sempre scorticato, anche se negli ultimi anni la vegetazione spontanea sta ricoprendo alcuni dirupi.
Da Torriana, che si trova a 337 metri sul livello del mare, si può ammirare un bel paesaggio, la vista va dal mare all’interno, e per tale motivo al paese è stato dato l’appellativo di «balcone della Romagna». Su un colle di fronte, a poca distanza, troneggia la Rocca che sovrasta il borgo di Verrucchio dove, si dice, ebbe origine la famiglia dei Malatesta la quale, suddivisa nel tempo in diversi rami, governò a lungo questa parte della Romagna e la costa, da Rimini, a Gradara, a Pesaro, a Fano e, per un certo periodo sino a Senigallia.
Famosa famiglia quella dei Malatesta, sempre in lotta con i Signori suoi vicini, i Guidi e i Montefeltro, famosa anche perché fece per lungo tempo parlare di sé le cronache nere, con complotti che nelle tante rocche avevano origine e che nelle rocche stesse tragicamente si concludevano. Nella rocca di Gradara furono uccisi da Giangiotto i due più celebri amanti del medioevo italiano, Paolo e Francesca, quelli che fecero commuovere anche il bisbetico Dante Alighieri. E, come racconta la leggenda, proprio nei sotterranei del Castello di Torriana fu trucidato lo stesso Giangiotto.
E il turista a questo punto si domanda: perché Giangiotto non partecipò alla corsa dei cornuti di Sant’Argangelo: forse perché era zoppo? Ma se vi avesse partecipato, Dante avrebbe più parlato di lui nella Divina Commedia? In attesa di trovare una risposta a questi esistenziali quesiti, il turista da Torriana si gode la vista del paesaggio romagnolo e del Montefeltro e osserva spuntare sui colli, macchiati qua e là dalla disordinata vegetazione arborea, le rocche e borghi di Talamello (patria del formaggio di fossa), di Pie- tracuta, e un po’ più lontano quella di San Leo. La meta del viaggio.
Il borgo di Torriana è pittoresco, ha conservato la struttura e l’aspetto medievale; qui ci abitarono anche gli etruschi, poi nel medioevo costruirono torri di difesa e una rocca, ancora visibile verso la fine del medioevo, che ne divenne padrona la famiglia Malatesta. Il turista, percorrendo le scoscese e strette strade del borgo, cerca di respirare quest’aria che sa di antico e di immobilità nel tempo: si ferma e quasi si estranea dalla realtà, gli sembra quasi di essere fuori del tempo, ma l’aria sa anche di altri odori che vengono dalle poche case abitate e dalla cucina del ristorante. Ritorna quindi con la mente su questa terra gustando l’odore, anzi il profumo di una cucina antica, genuina, come quella di quando lui ragazzo viveva in un paese dell’Italia centrale. Profumo di sughi di carne cotti lentamente per condire la pasta all’uovo, profumo di coniglio in porchetta, di arrosto di cinghiale…….E che dire della carne d’agnello servita su delle piccole griglie per non farla raffreddare?
IL CASTELLO DEL FANTASMA AZZURRINA.
Poco distante da Torriana si erge il castello di Montebello, perfettamente conservato e visitabile. Si tratta senza dubbio di uno degli edifici storici più interessanti di tutto il territorio della Signoria malatestiana. E’ un complesso in cui è possibile leggere ancora con chiarezza gli interventi subiti nel corso di secoli, da quelli più strettamente militari a quelli finalizzati all’adattamento in dimora nobiliare.
Il mastio e parte della fortezza sono risalenti all’originale struttura dell’anno 1000. La residenza signorile risale alla seconda metà del 1400 quando ai Malatesta subentrarono i Conti Guidi di Bagno, tuttora legittimi proprietari.
Una visita alla Rocca riserva molte sorprese anche per i tesori e i segreti che vi sono custoditi. Si trovano mobili di gran pregio che vanno dal 1300 al 1700. Bella la collezione di forzieri e cassapanche tra cui spicca una cassa dipinta risalente, si dice, alle Crociate. Cunicoli misteriosi, passaggi oscuri, pozzi profondissimi e strani accadimenti hanno alimentato la leggenda di un fantasma, quello di una bimba di circa 5 anni, figlia del feudatario, scomparsa nei sotterranei del castello nel 1375: il corpo della bambina non fu più ritrovato. Qualcuno sostiene che il fantasma di nome Azzurrina si aggiri ancor oggi tra le mura e che ogni cinque anni (in quelli che terminano con lo zero o con il cinque) faccia sentire nottetempo i suoi tristi e struggenti lamenti. Chi gestisce il castello ha provveduto a registrare i lamenti e li offre, in vendita, ai turisti che non possono attendere la fine del quinquennio (è una specie di Napoli dove si vende l’aria del Vesuvio confezionata in scatolette di cartone). E’ certo che l’industria turistica ha fatto grandi progressi uti- lizzando i prodotti delle più moderne tecnologie: ora le famiglie tedesche o russe o lombarde che abitualmente affollano le spiagge romagnole, hanno la possibilità e la soddisfazione, una volta ritornate nelle loro città, di riascoltare o di far ascoltare ai loro vicini i tristi lamenti di “Azzurrina”! Che bello!!
SAN LEO CI ATTENDE
Le ore passano e il turista deve arrivare sino a San Leo e quindi, una volta sceso a valle, giunto al bivio con Verrucchio procede oltre, vincendo la tentazione di salire sino alla Rocca che arcigna domina la valle. Oramai il turista non ha più vent’anni (e neppure trenta, quaranta, cinquanta…) e deve tenere conto della sua resistenza fisica (scarsa) e mentale (?) rinunciando a qualcosa. Perciò niente Verrucchio, niente Rocca, storie leggendarie d’amori e delitti, si procede per la strada che si snoda nella valle del Marecchia (più che un fiume sembra un indisciplinato torrente) e poco dopo oltrepassa il confine tra Romagna e Marche, tra la provincia di Rimini e quella di Pesaro Urbino. Giunto a Pietracuta (quanto gli piace questo nome! Sa tanto di medievale) è indeciso se prendere la strada che risale il corso del fiume e si dirige verso il santuario abbandonato di Saiano – con resti longobardi e i resti di una torre cilindrica di origine bizantina – un’antica Pieve (con cripta e resti d’epoca romana) poco prima di Secchiano, Macerata Feltria, Talamello e le ex miniere di Perticara, Sant’Agata, Carpegna (che prosciutti!), ecc. ….., oppure proseguire per la strada che in pochi km di salita lo porta a San Leo. Dopo un attimo di riflessione, proprio per i motivi già detti, il turista decide per l“oppure”.
SAN LEO
Che dire di San Leo? Niente, quello che prova il turista osservando l’ardita rocca o la pieve o il duomo romanici, se lo tiene per sé. Solo due note storiche: a) in questo luogo ebbe origine la famiglia dei Montefeltro che governarono, abbellendola, la città di Urbino; b) San Leo fu da Berengario proclamata capitale d’Italia. Solo, particolare non indifferente, l’Italia politica non c’era ancora.
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Bisogna resistere per non perire sprezzati e maledetti dal mondo; resistere ad ogni costo. Credete che io non vi consiglierei un inutile sacrifizio, io che darei questo poco che mi reste della luce degli occhi, e la vita, per questa cara città, perchè rimanga in alto pura di macchia la bandiera di S. Marco, che è bandiera d’Italia, bandiera di fede e di libertà.