Venezia secondo Julius Von Sclhosser

RICERCHE

Venezia secondo Julius Von Sclhosser  [1]

A cura di Ettore Aulisio

Prima  parte

 “Chi scende dalle Alpi Giulie durante un viaggio sul finire dell’estate (…) è giunto entro i confini delle pianure della bassa, in quella zona franca fra terra e mare, acque dolci e salse, avvolta tutt’intorno da umide caligini, dove l’uomo si è costruito un nido come gli uccelli acquatici su un terreno malsicuro e in costante spostamento.

 Foto d'epoca delle barene

– Le barene della laguna di Venezia –

Ed è là che sorride la città più straordinaria del mondo, Venezia, la regina dell’Adriatico (…) e soli pochi hanno abbastanza tempo e voglia e l’animo incline a fantasticherie antiquate, per abbandonarsi all’incanto del paesaggio desolato della laguna e, certo, anche alle sue nebbie portatrici di febbre, alle sue zanzare.

 

Come in nessun altro luogo è qui la terra ostensibilmente una creazione dei fiumi e del mare, molto spesso anche una loro preda, ed è abitabile solo grazie all’opera instancabile della mano dell’uomo, che fin dal tempo dei suoi primi insediamenti su queste rive scava canali, devia e congiunge fiumi, custodisce con grandissima cura gli argini protettivi (…)

Solo attraverso il controllo incessante del movimento delle maree, le attente misure preventive contro l’accumularsi della sabbia ed il formarsi di paludi, Venezia poté mantenere in vita sé e la sua laguna, sfuggendo al destino delle città sommerse che le avevano dato origine. Ci si rende conto della cura assidua che la Serenissima dedicava a questi problemi: alla laguna era delegata una particolare autorità, il gravissimo magistrato sulle acque; e l’acqua dei fiumi sfocianti nel suo ampio bacino era fatta deviare verso sud o verso nord.

(…)

Dalle gore e dagli stagni della laguna morta si esce senza quasi avvedersene nella zona della laguna viva e fluente solcata da innumerevoli vie d’acqua naturali e artificiali, che consente alle imbarcazioni di ogni genere una sicura e tranquilla navigazione: dal mare aperto la protegge infatti una serie di scanni, molti estesi in lunghezza, il più importante dei quali è il Lido di Malamocco; attraverso cinque  (porti) le acque dell’Adriatico penetrano al tempo dell’alta marea nell’interno e propagano, rivitalizzando l’ambiente, per i canali fittamente ramificati, già una volta paragonati con una immagine assai felice al sistema arterioso del corpo umano. Le maree esplicano qui effettivamente le funzioni di una specie di polizia sanitaria; (…).

Pali confitti sul fondo e muniti di tanto in tanto di lanterne e immagini di santi servono da indicatori stradali in questo labirinto. I veneziani distinguono le velme, i bassi accumuli dei detriti dei fiumi e della melma del mare, quasi privi di vegetazione, dalle barene, situate in posizione più elevata, dossi di forte coesione, solo raramente sommersi  (…)

 

 Foto d'epoca di un capitello devozionale in laguna

– Capitello su bricole –

Il fondo della laguna è soggetto a spostamenti continui. Le sedimentazioni dei fiumi ne innalzano costantemente la superficie, così che i canali possono essere mantenuti navigabili solo grazie all’incessante lavoro delle draghe.

(…)

 Foto d'epoca con bricole e il ponte della ferrovia translagunare

 – Bricole in laguna; sullo sfondo il ponte ferroviario translagunare –

Le rive del vertice esterno dell’Adriatico erano per gli antichi una terra meravigliosa. Là, alle sorgenti dell’enigmatico Timavo che irrompendo da tre fenditure della roccia precipita, dopo una corsa imponente ma della durata di poche ore soltanto, nel mare, attraversando boschi in cui ancora in epoca storica pascolavano mandrie di tori selvatici, gli uri, sbarcarono un tempo gli Argonauti, gli eroi della colonizzazione greca. Padova si gloriava di essere stata fondata dai progenitori Veneti, Antenore, fuggito da Troia, la sua tomba, un antico sarcofago romano, è ancora un emblema della città. Alle rive del Po fu circoscritta la gentile leggenda di Fetente, le cui sorelle, tramutate in scuri pioppi, piansero lacrime d’ambre dai riflessi d’oro.

(…)

Perché i predecessori dei veneziani erano già un popolo civilizzato che esercitava il commercio, l’agricoltura e la navigazione, del tutto dissimile dai suoi turbolenti vicini, i galli accattabrighe; poco attratti delle imprese guerresche, erano pur tuttavia capaci di maneggiare la spada a dovere e con grande coraggio.

(…)

L’aspetto esteriore di quelle coste era naturalmente, 2000 anni fa, assai diverso, anche a prescindere dalle alterazioni del suolo. Vaste selve – di cui le pinete di Ravenna, di Brondolo dietro a Chioggia (che arrivano fino all’Adige nei pressi di Cavanella) e quelle di Belvedere vicino a Grado, non sono che ben miseri resti – nelle quali, a poca distanza da Carole e Jesolo, gli antichi dogi andavano a caccia di ceri e di cinghiali, si alternavano a pascoli ubertosi, dove si lasciavano galoppare le mandrie dei famosi cavalli da corsa veneti, apprezzatissimi dagli antichi greci come da noi oggi quelli degli allevamenti inglesi (…).

 Foto d'epoca di un angolo agricolo di Torcello

– La laguna a Torcello –

Come Venezia nei tempi più remoti, Ravenna era inoltre, analogamente agli altri centri di questa regione, un villaggio su palafitte a pianta urbana; le case, per la maggior parte di legno, si reggevano su un basamento di robusti tronchi di larice profondamente confitti nel fondo melmoso; ancora nell’epoca di Vitruvio questo importante materiale da costruzione giungeva in città lungo il Po. Le palafitte, come è noto tuttora diffuse presso i popoli primitivi, erano familiari alla pianura padana fin dalle età più lontane. Resti di abitati di questo genere – oltre che sul Lago di Garda e nel minuscolo lago di Fimon nei pressi di Vicenza, sono stati ritrovati difatti in gran numero negli antichi insediamenti italici dell’Emilia; qui si tratta delle cosiddette terramare, costruite sulla terraferma.

Non bisogna dimenticare che le terre intorno al Po erano allora una campagna coperta di boschi, dal suolo paludoso e cedevole a causa delle frequenti inondazioni. La via che conduce dai villaggi di questi primi abitanti dell’Italia, sotto le cui capanne di paglia alte sui pali di sostegno si ammucchiavano le immondizie, agli edifici costruiti su dei piloni della laguna ravennate, è la stessa che porta dalle condizioni della barbarie originaria alla civiltà urbana: un legame esiste per quanto sottile possa essere (…).

 

 Cartografia d'epoca del Delta polesano

 – Il delta del Po (S.Astolfi, 1733) –

 Seconda parte

(…).

Mentre all’ep0ca veneto-romana la vita si svolgeva di preferenza sul margine costiero della laguna, quest’ultima con tutte le sue isole entrò nella storia solo con l’avvento delle invasioni barbariche. Non possono comunque sussistere dubbi sul fatto che fosse già abitata fin dalle età più remote da solerti pescatori; i reperti archeologici che si pensò tuttavia rimandassero alla preistoria,scoperti durante le modifiche costruttive apportate al fondaco dei turchi e a S.Adriano, non hanno in verità la pretesa di appartenere ad un’era tanto arcaica. Il fondo della laguna è peraltro abbondantemente ricoperto di detriti provenienti dalle costruzioni della terraferma e viene a mancare quindi ogni preciso punto di riferimento.

Allorché le torme dei barbari nordici irruppero nell’Italia, questi luoghi iniziarono ad animarsi di nuovi fermenti. Gli abitanti della città sul margine estremo del litorale si rifugiarono con tutti i loro averi tra le paludi. Sulle più sicure isole lagunari, che essi conoscevano del resto già perfettamente. Una nuova vita rigogliosa sorse dunque proprio qui, dove la terra e mare si compenetrano su un terreno estremamente singolare, per chi è inesperto del posto denso di insidie – come ebbero bene a sperimentare gli spartani di Cleomene prima e dopo anche i franchi di Pipino davanti a Rialto. Gran parte dei nuovi immigrati vi si stabilì in modo permanente mischiandosi alle popolazioni indigene; questi profughi recavano con sé i tesori della civiltà urbana di Roma e un’organizzazione statale e religiosa; si disseminarono così nel grembo fecondo della laguna i germi da cui un giorno doveva sbocciare il meraviglioso fiore di Venezia. Cassiodoro, uno degli ultimi romani, ministro di re Teodorico, ci ha lasciato una bella descrizione ricca di colore intorno alle più remote forme di vita di questa regione; le sue osservazioni sono di tanto maggiore attendibilità in quanto egli conosceva il paesaggio lagunare per averlo visto di persona. Le casupole costruite su un’area innalzata artificialmente per mezzo di argini e graticciate si rannicchiavano qui come nidi di uccelli acquatici lungo i canali periodicamente gonfiati dalle maree; le agili barche erano poste al riparo in apposite capanne come gli animali domestici dei contadini dell’entroterra. I Veneti di questi insediamenti lagunari impararono ben presto a manovrare le vele con gran perizia sia sull’alto mare che delineava il loro immutabile orizzonte, sia nell’acqua placida all’interno tra i lidi mantenuti artificialmente; qui i navigli sembravano scivolare su un fondo erboso tra i campi (un’immagine che si può ammirare ancora nel suo sconcertante incanto di poesia dietro a S. Elena). L’alzaia trainava cigolando per i canali le chiatte pesanti, cariche del dolce vino di Aquileia destinato al re dei goti di Ravenna. La coltura locale più redditizia erano le saline, il sale la maggiore ricchezza, la moneta di scambio. Imperava ancora l’austerità di costumi degli antichi veneti e una casa era uguale all’altra. In mezzo al caos e alla corruzione della sua epoca, Cassiodoro intravide un riflesso dell’età dell’oro in questa comunità democratica di laboriosi marinai e pescatori insensibili alle intemperie, governati da tribuni liberamente eletti, quasi indipendente entro i confini della laguna difficilmente accessibile.

Così era dunque la gente di queste isole, che insieme ai profughi delle città romane della costa era destinata a far parte dei progenitori di Venezia.

(…)

Così nacque dalle paludi, un prodigio al mondo, questa città; da dieci secoli si adagia ormai nel grembo della laguna, nel cui isolamento si sviluppò una civiltà tanto singolare da non avere eguali. (…)

 Foto d'epoca di una vela al terzo

– Laguna veneta –

Abbiamo visto come perirono le città lagunari che precedettero la fondazione di Venezia; solo con l’incessante e instancabile prosecuzione delle opere protettive iniziate dagli antenati si potrà tenere in vita la laguna veneziana. (…)

 

 – Isola di Torcello –

Il giorno in cui Venezia dovesse trasformarsi in una nuova Torcello significherebbe per i nostri idea una sconfitta di proporzioni tali che una maggiore non è neppure pensabile.

 


[1] Julius Ritter von Schlosser (Vienna 1866 – 1938), storico dell’arte viennese. Queste citazioni  sono tratte dal suo  libro “Venezia & Ferrara” del 1897  – (Ristampato da Corbo e Fiore editori, 1979, Venezia.)

 

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Dirò solo poche parole sul mio itinerario da Padova fin qui. Il viaggio sul Brenta, su una nave a servizio pubblico in compagnia di persone davvero a modo, è risultato comodo e piacevole: fra di loro gli italiani sono cortesi e pieni di riguardi. Le rive del fiume sono ornate di giardini e ville; si vedono piccoli villaggi che sorgono quasi sul corso d’acqua, che per lunghi tratti è rasentato da una strada molto animata. Siccome il fiume scende per cateratte, vi è spesso una piccola sosta di cui si può profittare per scendee a terra e godere delle frutta abbondanti che vi offrono. Poi risalire sulla nave e là ci si muove attraverso un mondo variabile di fertilità e vita.

— Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia

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