La chiesa dell’Ospedaletto
di Silvia Lunardon
La chiesa dell’Ospedaletto è chiamata più propriamente di Santa Maria dei Derelitti in ricordo della primitiva destinazione assistenziale che ebbe l’ospedale, sorto nel 1528 nel luogo esatto ove poi venne edificata la chiesa. L’ospedale dei “Poveri Derelitti ai Santi Giovanni e Paolo” – così chiamato per la vicinanza con il convento dei Domenicani – era uno dei quattro ospedali generali o ‘grandi’ al tempo della Repubblica di Venezia, dove si mantenevano e si curavano non solo i malati poveri della città, ma anche fanciulli e ragazze abbandonati. Sorse sotto la spinta di un’emergenza sociale gravissima causata dalla carestia che colpì la campagna veneta nell’inverno 1527-28: per le masse di poveri che affollavano la capitale si eressero asili provvisori destinati ad essere smantellati una volta passata la crisi. Non fu così per l’ospedale dei Derelitti, allestito sotto le ‘teze’ (tettoie) per il legname situate ai margini della città verso la laguna nord: già nel giugno del 1528 infatti veniva dotato di una propria cappella ed ospitava stabilmente un centinaio di bisognosi. Ben presto alle provvisorie baracche di legno si sostituirono solide costruzioni di pietra: i reparti per gli uomini, quelli per le donne, per i putti e le putte; poi finalmente, intorno al 1570, venne realizzato il primo vero ampliamento dell’ospedale sotto la guida del proto Antonio da Ponte. Ciò permise la costruzione anche della chiesa, alla cui progettazione è legato il nome di Andrea Palladio, come documenta il contratto per l’altar maggiore e le colonne ioniche delle pareti che cita un disegno da lui fornito nel 1575. Alcuni personaggi che in seguito divennero famosi parteciparono alla fondazione ed ai primi anni di questa istituzione, dandoci la misura della spiritualità che ispirò la vita di questo ospedale. Il nobile veneziano Girolamo Miani qui si dedicò all’educazione dei giovani, divenne santo e fu dichiarato patrono universale della gioventù abbandonata (i suoi discepoli, i Somaschi, furono i rettori della chiesa per il periodo della Repubblica); Lorenzo Lotto fu tra i primi governatori, pittore di fama eccelsa, lasciò all’Ospedaletto un suo testamento ricco di umanità e di fervore cristiano. Il Seicento fu secolo importante per l’Ospedaletto perché, grazie a ricchi lasciti di benefattori, potè ampliare le strutture ricettive e rinnovare, abbellendola, la chiesa. Si fissarono gli statuti ed i regolamenti che diedero una configurazione specifica alla funzione sanitario-educativa di questo luogo, distinguendolo dagli altri tre grandi ospedali di Venezia: la Pietà, gli Incurabili, i Mendicanti. Si diede impulso all’attività musicale, già avviata nel corso del Cinquecento, quale metodo educativo e di elevazione sociale riservato alle putte orfane; tradizione che ebbe il massimo sviluppo nel corso del Settecento e che mise il nostro ospedale in competizione con gli altri della città grazie alla presenza di maestri di musica di fama quali Legrenzi, Porpora, Traetta, Sacchini, Anfossi, Cimarosa. Un organo di Pietro
Nacchini, datato 1751, è ancora perfettamente funzionante dentro una cassa lignea ornata di fregi e di putti barocchi. La chiesa, che al momento dell’edificazione aveva solo l’altar maggiore, fu arricchita degli altari laterali (su progetto del Sardi) ed abbellita da dipinti di valenti pittori che le hanno conferito, nell’arco di due secoli e mezzo, l’aspetto attuale di rappresentativa galleria d’arte veneziana: dal tizianesco Damiano Mazza, autore della pala dell’altar maggiore, a Pietro Liberi, Andrea Celesti, Carlo Loth, Antonio Molinari, Giuseppe Angeli, a Nicola Grassi, G.B. Tiepolo ed altri autori di alcuni ‘pennacchi’; ed infine Giuseppe Cherubini che agli inizi del Novecento affrescò il soffitto. Famosa è la facciata del Longhena, che nell’Ospedaletto aveva apportato significative riforme edilizie, dove la ricchezza barocca degli elementi plastici assume un significato spirituale e che “nell’andamento ascendente di masse via via più leggere, suggerisce l’alleviarsi della fatica umana e l’aspirazione verso una meta trascendente” (Lunardon -Ellero).
La visita alla chiesa dell’Ospedaletto, che purtroppo è stata deturpata da un incendio nel maggio del 2011, si conclude con la visita del cortile delle quattro stagioni, la loggia del Longhena, la scala ovale del Sardi, e la famosissima sala della Musica – unica sopravvissuta nel suo genere di quelle esistenti nei quattro ospedali veneziani -affrescata da Jacopo Guarana, valente seguace del Tiepolo, e dal quadraturista Agostino Mengozzi Colonna nel 1776. Sul soffitto della sala, dedicata a concerti da camera per ospiti illustri dell’ospedale, la Musica è raffigurata secondo schemi mitologici con il trionfo di Apollo e delle Muse, mentre sulla parete di fondo si inscena un concertino alla presenza di Apollo, ma eseguito non più dalle Muse ma da un gruppo di putte realisticamente rappresentate insieme al loro maestro di musica Pasquale Anfossi.
[a cura Delegazione del FAI di Venezia per la xx giornata FAI di primavera ]
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“Il fatto si è che quei simboli del passato sono nella memoria d’un uomo, quello che i monumenti cittadini e nazionali nella memoria dei posteri. Ricordano, celebrano, ricompensano, infiammano: sono i sepolcri di Foscolo che ci rimenano col pensiero a favellare coi cari estinti: giacché ogni giorno passato è un caro estinto per noi, un’urna piena di fiori e di cenere. Un popolo che ha grandi monumenti onde inspirarsi non morrà mai del tutto, e moribondo sorgerà a vita più colma e vigorosa che mai”