Davide e Golia, in acqua

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Davide e Golia, in acqua

di Pino Sartori *

Un’eredità nefasta della cultura letteraria spicciola ce l’ha lasciata Paul Thomas Mann (1875 – 1955), scrittore e saggista tedesco, premio Nobel per la letteratura, quando nel suo famoso racconto lungo “La morte a Venezia” [Der Tod in Venedig] ” descrive  l’arrivo del protagonista a Venezia.

“La nave riprendeva, per il canale di San Marco, la navigazione interrotta tanto vicino alla meta. E così rivide un’altra volta, lo scalo splendido, quella composizione affascinante di edifici fantastici che la Repubblica offriva ai rispettosi sguardi dei naviganti, nell’avvicinarsi, la grandiosità agile del Palazzo e il Ponte dei Sospiri, le colonne alla riva, con leone e santo, il fianco sporgente sontuoso della chiesa fiabesca, la veduta dell’arco e l’orologio gigante, e guardando lassù pensò che arrivare a Venezia per la via di terra dalla stazione, significa entrare in un palazzo dalla porta posteriore (…)”

Qui nasce un mito, alimentato indubbiamente da Luchino Visconti (1971),  per l’immaginario collettivo che però oggi sta minacciando per il suo gigantismo l’elemento strutturale primigenio della città che è sorta sulle barene dell’estuario lagunare.

C’è invece chi rema contro, si potrebbe dire propriamente, questo mito.

Chi, come Selina Zampedri e Stefano Barzizza, intraprende una impresa colossale, non solo per il confronto fra le  stazze, canoa contro i grattaceli del mare, ma per la sovversione del punto di vista, per far conoscere alla gente, anche ai pochi indigeni rimasti, prospettive e inquadrature di Venezia e della laguna a “filo d’acqua”.

Insomma un progetto rivoluzionario, un confronto come quello di Davide e Golia, ma  sull’acqua.

Selina Zampedri, novello Davide, affronta i Golia sull’acqua del Canale della Giudecca

Avviandosi in laguna  dalla terraferma (porta posteriore…), da San Giuliano o da Campalto, i nostri esploratori sono stati più volte catturati dal richiamo dei chiaroscuri cromatici delle barene estive, che però verso la fine di luglio cedono al dilagare del colore roseo-lilla della fioritura del limonieto.

Invero, per chi è uso all’acqua di Venezia, e sono molti ancora i veneziani che tengono un remo in mano, la loro è una riscoperta dell’acquaticità dei luoghi in cui vivono e operano, delle strutture e delle architetture che erano pensate solo per un accesso dall’acqua (come gli ingressi di molti luoghi sacri), o per alcuni segni “C–” misteriose tracce di una civiltà ignorata più che ignota. Sono i segni del “Comun de aqua“, riferimenti ancora validi per capire i dinamismo della città che sprofonda.

Comun de acqua 1840 e 1970

Bacino Orseolo (vicino piazza San Marco). Confronto fra il “Comun de acqua” del 1840 (sotto) e quello del 1970. Il segno dell’acqua attuale oggi arriva molto più in alto.

E’ anche una denuncia  della drammaticità (ormai dimostrata anche dalla cronaca) del moto ondoso che impedisce una visitazione lenta e assaporante della città, come gustare con tranquillità una della sue  specialità enogastronomiche.

E’ anche un’impresa agghiacciante e terribile che, con le loro istantanee,  ci pone di fronte all’inciviltà dello sfruttamento turistico, che reputa questi punti di vista dall’acqua i luoghi migliori per lasciare le proprie immondezze.

E’ però infine  un invito a superare le naturali ritrosie che possono sorgere nelle persone di fronte a una canoa con pagaia, per cimentarsi in uno sforzo lieve e comunque graduale ed avvicinarsi ad una Venezia che nessun percorso fra le calli più sconosciute vi potrà mai rivelare.

E l’esplorazione continua con il nuovo gruppo su  FB: “Vivere la laguna di Venezia”. [https://www.facebook.com/groups/viverelalaguna/].    Seguiamoli.

* Vicepresidente Gruppo per la salvaguardia dell’ambiente La Salsola

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La mostra fotografica “A FILO D’ACQUA” si inaugura sabato 12 aprile ore 18.00 presso il Centro culturale G. Pascoli a Campalto (VE)

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Il vecchio asino quando va alla fonte per bere e truova l’acqua intorbidata, non avrà mai sì gran sete che non s’astenga di bere e aspetti ch’essa acqua si rischiari.

— Leonardo da Vinci, Codice H (1493-94), Folio 11v.

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