DISCUSSIONI
Riprendere il cammino per la realizzazione
del Museo di Mestre e della terraferma
di Gabriele Scaramuzza*
Negli anni ’90 aveva percorso il dibattito culturale della città la proposta della realizzazione di un “Museo di Mestre”, inteso come luogo e opportunità per raccogliere le testimonianze della storia della terraferma e organizzarle in un percorso scientifico e didattico che desse conto della grandi trasformazioni territoriali, sociali e ambientali che avevano interessato questo territorio.
Questo dibattito aveva interessato molta parte delle associazioni culturali della terraferma, nonché le amministrazioni comunali che si sono succedute in quel torno di tempo, ed ha avuto uno dei momenti principali nel laboratorio e nella mostra di “Mestre novecento”.
Durante quel dibattito si affermò progressivamente l’idea che il modello che meglio avrebbe reso la storia multiforme di Mestre e delle Municipalità di cintura (Favaro Veneto, Marghera, Zelarino-Chirignano) fosse quella del museo diffuso, ossia di un insieme di poli collocati nelle realtà municipali tesi a porre in rilievo il “genius loci” di quel determinato ambito di territorio (ad esempio la civiltà industriale a Marghera, quella rurale a Favaro Veneto-Campalto) e coordinati da un nodo centrale in grado di compendiare questo insieme di storie e offrire percorsi unitari di lettura.
Per qualche tempo si pensò che questo percorso potesse essere incrociato con la realizzazione di M9 presso gli spazi dell’ex distretto militare di via Poerio, con l’importante operazione di recupero e riqualificazione urbana posta in essere in quel sito. Si trattava – credo – di una scelta strategica che collocava l’animazione culturale e la creazione di un vero e proprio distretto della cultura (realizzazione di M9, acquisizione e conversione a biblioteca di villa Erizzo, investimento sul teatro Toniolo e sul centro culturale Candiani) come occasione di rigenerazione della parte centrale dell’area metropolitana.
Il sodalizio tra M9 e il museo di Mestre alla fine non si realizzò, né vale la pena rammemorarne le ragioni. Dobbiamo però chiederci – e credo che la risposta sia positiva – se siano maturi i tempi per recuperare l’intuizione del museo di Mestre e della terraferma e accasarlo all’interno di una politica culturale per la città e l’area metropolitana.
Tutto ciò a partire da una constatazione e da una proposta. La constatazione è che in realtà parte del museo diffuso esiste già. Infatti, correndo sul filo di quel dibattito, l’associazione culturale “Terra Antica” organizzò agli inizi degli anni ‘2000 presso gli spazi avuti in concessione dall’Istituto Gramsci alla scuola primaria “Don Milani” il laboratorio di documentazione “Giancarlo Ferracina”. Intitolato ad una personalità significativa come il direttore didattico Ferracina, il laboratorio ricostruisce gli ambienti tipici della cultura rurale che hanno contraddistinto per secoli i nostri territori.
Alcune centinaia di oggetti d’uso della vita contadina raccolti dall’associazione e organizzati in un percorso didattico restituiscono gli aspetti salienti di una quotidianità che ha accompagnato per un largo tratto di tempo fino al ‘900 le nostre comunità.
Il ‘900, giova ricordarlo e per noi è cruciale non è infatti il tempo della civiltà industriale, ma a Venezia e nella terraferma è soprattutto il tempo della “grande transizione” tra la civiltà contadina e quella industriale segnata dalla nascita di porto Marghera. Questa due civiltà non si sono sostituite l’una all’altra con una cesura secca, ma hanno a lungo convissuto, si sono ibridate e hanno dato forma in termini identità sociale come pure di spazio urbano alla città che noi oggi conosciamo.
La proposta, già rilanciata e che facciamo anche nostra, è quella di ritornare alle ragioni originarie degli anni ’90, riconoscere le realtà già organizzate e individuare nella ex scuola De Amicis il luogo origine di questo percorso allargato ai territori municipali, attraverso il recupero del manufatto.
Per questo crediamo anche necessario e lanciamo l’idea di un confronto tra le realtà associative della terraferma, un luogo e un’occasione in cui ritrovarci e riprendere le fila di un’elaborazione che si era interrotta. Convochiamo tutti insieme nelle prime settimane del 2019 un grande forum pubblico e riprendiamo – associazioni e associazioni – questo cammino.
- Presidente Associazione culturale “Terra Antica”di Favaro Veneto.
==============================================================
Tra le cose, pure, che muovevano molto la fantasia, c’era il Piave. Il Piave era per me insieme un piacere visivo e un piacere acustico, coi suoi vari rametti gorgoglianti tra le pietre bianche con questi colori straordinari del fondo, viola, azzurro, verde. E quello che era un rametto di fiume, nè largo nè profondo, diventava come il fiume segreto del cuore dell’Africa. Sugli ottocento metri mettiamo del greto, il fiume rappresentava solo cento metri. Tutto il resto era ghiaia, questa ghiaia cotta dal sole, con bei sassi tondi, e lì si aveva proprio il senso del deserto. Dico bene: il senso del deserto, quale l’ho ritrovato nei vari deserti dell’Africa.