La Villa di Tessera e la chiesa di S. Elena*
di Lionello Pellizzer
Il 19 marzo 1924 il Vescovo di Treviso Fr. Andrea Giacinto Longhin, in visita pastorale nelle parrocchie della sua diocesi, si era recato presso la chiesa di S. Elena di Tessera. Gli fu impedito di entrare perché la strada di accesso era sbarrata e recintata da filo spinato, senza che ne fosse fatto alcun preavviso, “senza relazioni precedenti” si legge in una sua relazione.
Il Vescovo sollevò un’energica protesta contro la chiusura ritenuta abusiva della chiesa, lamentando che “le sacre mura” potevano essere danneggiate da una “arbitraria e dannosa” boschetta lasciata crescere intorno alla chiesa, le cui radici e l’umidità potevano guastare le mura e il tetto. Fece sentire la sua voce presso il Comune di Favaro e chiese informazioni all’Economato perché “la chiesa è di antica origine, pubblica: contiene due preziosi dipinti, la pala dell’altare maggiore e l’altare di S. Antonio, e il rotondo campanile è monumento nazionale”.
La Curia vescovile di Treviso l’anno successivo, per accertare la regolarità degli atti, inviò una dettagliata relazione all’Ufficio del Regio Subeconomato dei Benefici Vacanti che aveva sede a Mirano.
L’arciprete di Favaro incaricò un professionista, l’ingegner Carlo Berengo per compiere opportune ricerche nei Catasti e nelle Mappe austriache che si trovavano presso gli uffici di Mestre.
La Relazione della Curia, redatta il 3 novembre 1925, si soffermava in particolare sugli aspetti storici e religiosi della questione: “è un’antica chiesa”, si affermava riprendendo quanto scritto da don Francesco Agnoletti, “dipendente dalla matrice di Strà, vulgo Campalto. Appartenne al Patriarcato di Venezia fino al 1868 perché bene proveniente alla stesso per la Commenda di S. Cipriano di Murano, che fu assunta alla Mensa onde aumentarle la dote, dal Senato Veneto, nel secolo XV….. con l’onere di mantenerla e di farla officiare per il popolo di Tessera, come effettivamente riscontratosi eseguito [Atti delle visite pastorali del 1641, 1658, 1670, 1675] e seguenti; veggonsi pure lavori sostenuti nel 1873 sino al presente. L’origine della chiesa è fatta palese dalla lapide che leggesi sopra la fronte e che rispecchia i documenti dell’Archivio vescovile di Treviso. Fu Gregorio vescovo di questa città che la volle eretta a vantaggio della popolazione di Tessera nel 1130, la dotò e la concesse ai Benedettini, dai quali fino alle Commende fu governata ed era dote del grande monastero Pomposiano, come Ospedaletto e altre chiese benedettine della Venezia…”.
Proseguiva la Relazione: “morto il cardinale Luigi Giuseppe Trevisanato nel 1864, dal Demanio dello Stato il 28 maggio 1868 furono avocati i beni della Mensa di Venezia e, fra gli altri, i mappali n. 244 e 245 di Tessera di Favaro, attigui alla Chiesa di S. Elena e Antonio, che esso vendeva all’Asta ed erano il 6 luglio 1869 aggiudicati a Giacomo Checchin detto Badin [lo stesso soprannome Badin deriva da Badia/Abbazia] fu Pasquale di Mestre, già fittavolo del Patriarcato* [*questa nota sembra aggiunta successivamente]”….. .
Contro la ditta Checchin furono denunziati dalla Fabbriceria due fatti: il primo perché pretendeva di impedire al parroco e ai fanciulli l’accesso nei giorni feriali della frazione di Tessera per istruirsi nel Catechismo; il secondo per la “obbrobriosa” riduzione del piazzale e il cimitero, ad una strada di due metri, che dalla via principale detta “Mestre – San Donà” conduce al lato sud dell’edificio ed ivi termina, sbarrato da filo di ferro spinato.
La Relazione ricordava che “nella chiesa sono collocati due buoni dipinti ai quali reca danno l’aria umida cagionata dal bosco ceduo che cresce attorno alle mura e ne guasta la fondazione. Per provvedere efficacemente alla difesa giuridica dell’edificio la Fabbriceria raccolse dall’archivio patriarcale elementi antichi; che, insieme agli atti catastali e a quelli della compravendita 1869, possono giovare assai; inoltre ha in via di diritto esposta la condizione del luogo santo al Ministero di G.G.C. per sapere se S. Elena fu venduta al Checchin, secondo quella [che] l’attuale proprietario asserisce, e quali clausole gli sarebbero fatte in riguardo dell’osservanza dei diritti della Fabbriceria, sembrando necessario tale intervento per affrettare le pratiche definitive. Nel Catasto 1899 S. Elena è segnata come Oratorio, di p.c. 18, con la lettera B del Comune di Favaro, sezione Terzo e col titolo di S. Antonio di Tessera.
Il proprietario degli immobili contesi è Checchin Ercole Bortolo di Mestre”.
La Relazione chiedeva quindi al Subeconomo di “confermare l’esposto avvalorando le vive istanze della Fabbriceria nella defi nizione dei conservati diritti a tale riguardo”.
La Ricerca catastale dell’ing. Carlo Berengo del 16 marzo 1925, chiariva che “a questa chiesetta si accedeva dalla strada Comunale detta di Tessera che passa a Nord. La chiesa è recinta con una chiusura in ferro spinato la quale impedisce che si possa accedere all’edificio stesso dai lati, di tramontane, levante e mezzodì mentre permette l’accesso dal lato di ponente, verso cui è rivolta la porta principale, a mezzo di un passaggio a forma di corridoio della larghezza di m. 4.00. Non solo, massi di pietra [avanzi di antichi edifici e forse di antiche tombe] che si trovano a m. 5.00 verso ponente dalla porta della Chiesa, quasi a segnare attraverso i secoli dei limiti insuperabili, vengono dal Sig. Checchin tolti dal posto e portati nel fabbricato colonico. Davanti alla Chiesa alla distanza di circa m. 5.00 vengono trovate ossa umane e altre ossa si trovano anche a sud della Chiesa stessa”.
Fu preparata una Relazione che fu mandata a Roma, per mezzo dell’incaricato al Ministero per il culto. Fra i documenti dell’Archivio Patriarcale si trova anche l’Estratto di verbale di vendita, avvenuta mediante incanto a pubblica gara dell’11 novembre 1868 in Mestre, sottoscritto dal Prefetto di Venezia Torelli in data 3 luglio 1869 e da cui risulta che i lotti messi all’asta sono stati aggiudicati al Sig. Giacomo Checchin detto Badin fu Pasquale per L. 67.200 e che il Sig. Giacomo Checchin ha adempiuto a tutte le prescrizioni stabilite dalle leggi.
In conclusione, sulla base delle risultanze, il Regio Subeconomato dei Benefici Vacanti il 2 febbraio 1926 rispose al Vescovo di Treviso che “la chiesa deve considerarsi un oratorio privato e che le altre questioni poste dalla Curia [limitazione dell’accesso, la piantagione degli alberi] esulano dalla competenza dell’Autorità tutoria, salvo alla fabbriceria reggente il sacro edificio, di promuovere all’uopo quelle azioni che ritenesse opportune”. E così la vicenda amaramente si concluse, portandosi dietro no ai giorni nostri gli stessi problemi di allora.
*Tratto dal Libro “I Certosini, i Morosini e il Patriarcato di Venezia tra il XV e XIX secolo nel territorio di gronda”