RICERCHE
Le bonifiche del Consorzio Dese inferiore*
di Luigino Scroccaro
Nel decennio 1870 – 1880 tra i 30.770,19 ettari di competenza del Consorzio idraulico Dese, se ne contavano 2051 di malsani e improduttivi per la presenza di paludi e di valli.
La maggior parte di questi terreni era situata nell’area a nord-est della città lagunare e precisamente nei Comuni di Favaro, Marcon e Mestre.
Le paludi di Campalto, Tessera, Dese e Terzo ricoprivano oltre il 10,17 % della superficie del Comune di Favaro, quelle di Gaggio il 14,03% del Comune di Marcon e il terreno paludoso, posto oltre la stazione nella zona di Bottenigo, l’1,44% della superficie del Comune di Mestre.
I danni che queste provocavano erano ben noti a tutti, amministratori e proprietari. Consuete erano le denunce dei Sindaci, in particolare dei Comuni di Favaro e Marcon, per le conseguenze causate dal ristagno delle acque sulla salute dei propri cittadini, denunce che però non andavano al di là del fatto statistico. I pochi proprietari che si suddividevano l’area, lamentavano nel periodo estivo la mancanza di lavoratori resi inabili dalla malaria; nessuno però si preoccupava di rimuovere la causa di questo problema con il risanamento della palude. Nel decennio si registra un solo intervento di bonifica meccanica nella località Portegrandi nel Comune di San Michele al Quarto, allora sotto il Distretto di San Donà.
Nel 1882 il Parlamento emanò una legge specifica sulla Bonifica, detta legge Baccarini, che dettò delle normative sul recupero dei terreni paludosi a livello nazionale. Essa divideva le bonifiche in due categorie: di prima quelle che prevedevano opere di carattere agrario ed igienico e di seconda quelle che si limitavano ad interventi agricoli.
La nuova normativa divenne subito occasione di dibattito in tutta la provincia di Venezia coinvolta per la forte presenza di aree paludose.
Nel Distretto di Mestre gli amministratori del Comune di Favaro , riunitisi in data 23 settembre 1883 per deliberare se far rientrare o meno l’area paludosa del Comune nella Boni-fica di prima categoria, si dichiararono contrari all’operazione anche alla luce del parere dei proprietari. Non valeva la pena, affermavano alcuni consiglieri di Favaro, risanare la zona paludosa perché il guadagno non sarebbe stato poi così immediato ed evidente, stante anche il tipo di contratto che era in uso sulle terre di palude quattro volte inferiore a quello delle terre alte e medie. I proprietari in un primo momento non aderirono probabilmente perché non erano convinti di quanto avveniva in altra parte del Veneto, nel rodigino, dove le terre risanate avevano aumentato considerevolmente il loro valore. Quanto poi salvataggio che sarebbe derivato alla salute degli abitanti di Favaro con la bonifica dell’area paludosa, i consiglieri affermavano che “in fondo il centro abitato era abbastanza lontano dalle paludi e veniva a soffrire poco degli odori e dei miasmi della palude e delle febbri”. Piuttosto, invitavano lo Stato e la Provincia ad intervenire sulla laguna, là dove l’acqua dolce si incontra con quella salata, causa secondo gli amministratori di Favaro del cattivo odore e dell’aria irrespirabile.
Nel frattempo però il Prefetto di Venezia, in attuazione della legge Baccarini, aveva nominato una Commissione per le Bonifiche in ogni Distretto della Provincia. La Commissione del Distretto di Mestre, che allora comprendeva oltre al comune mestrino, quelli di Chirignago, Favaro, Marcon, Martellago, Spinosa e Zelarono, relazionò sul risultato dei suoi lavori il 23 aprile 1884 attraverso Napoleone Ticozzi. Contrariamente a quanto deciso dal Consiglio Comunale di Favaro, sollecitò tutti i Comuni del Distretto i particolare quelli di Marcon, Favaro e Mestre ad intraprendere la bonifica dei terreni malsani pensando soprattutto ai vantaggi igienici che ne sarebbero derivati in quanto “non vi è oro che paghi la salute”. Il rapporto metteva anche in risalto i benefici economici che sarebbero seguiti alla coltivazione dei terreni fino ad allora improduttivi. Inoltre si sollecitava il Governo ad intervenire nella zona lagunare le cui paludi influivano negativamente sulla salute degli abitanti di Favaro. Invitava quindi i possidenti interessati a costituirsi in Consorzi di Bonifica e i Consorzi esistenti ad associarsi al Governo per il risanamento dei terreni; fino a quella data infatti il Consorzio Dese a cui era affidato il regime idraulico della zona interveniva soprattutto sulla manutenzione dei tre fiumi, Dese, Marzenego-Osellino e Zero con il loro scoli per un totale di quasi 303 chilometri di corsi d’acqua.
Nel 1887 un Regio Decreto classificava la zona bassa del Consorzio, in particolare quella che comprendeva il bacino denominato Terzo con Tessera, in Bonifica di prima categoria, dimenticando di inserire tra i benefici, che questo prevedeva, l’estesa palude del Comune di Marcon.
Il primo progetto di Bonifica del Consorzio Dese arrivò nel 1889; esso prevedeva l’arginatura dei fiumi e la canalizzazione delle acque con la costruzione di numerosi scoli, scegliendo il fiume Dese “come il più opportuno per lo smaltimento delle acque della bonifica” sui quali realizzare un impianto idrovoro costituito da più locali ove ospitare i macchinari, il carbone, le turbine, le caldaie. Erano poi progettate alcune strade e dei pozzi artesiani.
I lavori però non partirono e la decisione dell’intervento fu rinviata dagli amministratori del Consorzio. Nel frattempo alcuni possessori di fondi interessati alla bonifica e non indifferenti al problema, come il barone Treves e il Conte Malvolti nelle loro proprietà di Lito Marino e Zuccarello risanarono qualche centinaio di ettari attraverso la bonifica meccanica.
Gli eventi bellici del 1915 – 1918, in particolare dopo la rotta di Caporetto che vide coinvolta quest’area nelle immediate retrovie del Piave, rallentarono qualsiasi desiderio di bonifica e resero vano il lavoro di questi privati in particolare del Conte Malvolti le cui opere furono distrutte.
In quegli anni la situazione igienico sanitaria peggiorò per una ulteriore diffusione della malaria. Un giornale di Treviso, “La Riscossa” diretto dal repubblicano Guido Bergamo, in un numero del 1921 accusava il Ministro delle Terre Liberate, che aveva sede nel capoluogo della Marca, di non interessarsi alle condizioni igienico sanitarie delle campagne dove “la malaria ha assunto una tale intensità e estensione epidemica che la necessità di efficaci ed estesi provvedimenti si fa così assillante da non consentire ulteriori indugi”. Il giornale porta come esempio proprio il Comune di Favaro dove “esiste un’estesa zona paludosa suscettibile di Bonifica agraria”.
Nel 1922 il Consorzio “Dese Inferiore”, costituito in data 8 dicembre 1922 chiese la concessione delle opere di bonifica di un primo bacino del suo comprensorio. Finalmente nel 1925 ancor prima dell’avvento della Bonifica integrale voluta da Mussolini, “nel clima rinnovatore del “fascismo” venne presentato un nuovo progetto per il risanamento delle aree paludo-se del comprensorio di Bonifica “Dese Inferiore”: si trattava di un’area di 9820 ettari di cui 3456 interessavano il Comune di Favaro, 1686 quello di Marcon, suddivisi in quattro bacini Zuccarello, Cattal, Campalto e Marghera. Per il prosciugamento dell’area erano previsti numerosi interventi sia per motivi igienici, sia per rendere produttiva la terra.
L’avvio dei lavori fu quasi immediato tanto che il risanamento del bacino Zuccarello nel Comune di Marcon nel 1928 era già terminato grazie a 140 mila ore di lavoro.
Nello stesso anno iniziarono i lavori del secondo Bacino, quello Cattal (Terzo-Tessera), conclusi nel 1930, dopo 210 mila ore di lavoro.
La realizzazione del terzo bacino, quello di Campalto, dovette invece attendere il dopo guerra; negli anni 1947 – 1948 venne infatti costruita l’idrovora e questo per il minor interesse agrario ed igienico della zona e questo per il minor interesse agrario ed igienico della zona.
Notevoli i risultati ottenuti, prima di tutto scomparve la malaria, migliorando le condizioni sanitarie degli abitanti. Le superfici appoderate appartenenti allora a grandi e medi proprietari come Volpi, Marcello, Malvolti, Brandolini, ma anche a Fondazioni come Gli Esposti e la Querinini-Stampalja, aumentarono considerevolmente di valore, condotte in mezzadria, in proprio o in affitto. Le coltivazioni erano soprattutto intensive caratterizzate da vaste estensioni di cereali, ma non mancavano altre colture: in una proprietà furono messi a dimora 100 mila gelsi, 150 mila viti. Aumentò il patrimonio zootecnico.
Nelle numerose case coloniche che vennero costruite su campagne di 20-25 ettari si stabilirono nuclei familiari non solo del territorio, ma anche provenienti da altre regioni dando origine agli abitati che poi sarebbero diventati i paesi di San Liberale e di Ca’ Noghera.
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*(Sintesi del brano “Palude” di Luigino Scroccaro,
pubblicato in “Per terra … per acqua …”, del 2003).
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Memoria, memoria, che sei tu mai! Tormento, ristoro e tirannia nostra, tu divori i nostri giorni ora per ora, minuto per minuto e ce li rendi poi rinchiusi in un punto, come in un simbolo dell’eternità! Tutto ci togli, tutto ci ridoni; tutto distruggi, tutto conservi; parli di morte ai vivi e di vita ai sepolti!